Gli
ambienti di Raffaele Albani
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Nel
1969 mi sono trasferito nella località di Casalpalocco
ubicata nella fascia costiera di Roma, in una abitazione con
giardino tenuto a prato inglese e alberato solo con un pino
marittimo.
Niente di straordinario ma bisognoso di una manutenzione continua,
costante e soprattutto noiosa.
Pertanto cominciai a consultare riviste e testi di giardinaggio
con particolare riferimento a quelli specializzati in “piante
insolite” per il nostro ambiente naturale e piano piano
iniziai a modificare l’assetto del verde che mi circondava.
Eliminai subito l’odioso “prato inglese” sostituendolo
con un letto di ghiaia che, come è noto, non richiede
cure particolari e con vialetti e piazzole lastricate con blocchetti
di tufo.
Per alberarlo ho messo a dimora faggi rossi, ulivi, carrubi
e carpini insieme a gruppi di agavi, euforbie e felci.
Ovviamente questa trsformazione è avvenuta nel corso
di alcuni anni durante i quali, spesso, mi sono imbattuto in
fotografie e servizi sulle orchidee tropicali e sui loro habitat
rendendomi conto che dove abitavo, per la variabilità
del clima con temperature al di sotto dello zero anche per alcuni
giorni consecutivi, mi sarebbe stata impossibile la loro coltivazione
all’aperto. Però, avendo a disposizione una veranda
di circa dieci metri quadrati esposta a ponente e con una parete
interamente a vetro, ho deciso di destinarla alla coltivazione
delle orchidee tropicali.
Così ho attrezzato la veranda di un umidificatore, di
un ventilatore, di una stufa elettrica e di una adeguata illuminazione.
Ho munito di scaffali l’ambiente prescelto e sui loro
ripiani ho collocato i vasetti delle orchidee tropicali acquistate
in mostre e vivai specializzati; ancora una volta con risultati
monotoni che non mi soddisfacevano.
Mi sembra opportuno sottolineare che per orchidee tropicali
si intendono le specie che hanno i loro habitat compresi tra
il trentesimo parallelo Nord e il trentesimo parallelo Sud,
dove non esistono stagioni meteroelogiche o la loro variabilitàè
molto ridotta, e che sono piante dotate di clorofilla, e vengono
pertanto classificate come piante autotrofe.
Ma che significa “piante autotrofe”?
Consultando un vocabolario della lingua italiana, sono venuto
a conoscenza che per piante autotrofe si intendono quelle piante
a foglie verdi che sono in grado di rendere organici e quindi
assimilabili due elementi inorganici quali l’anidride
carbonica (CO2) presente nell’aria e l’acqua (H2O),
utilizzando come fonte di energia la luce solare limitatamente
alle lunghezze d’onda del blu, del rosso e dell’arancione.
Questo processo è noto come “fotosintesi clorofilliana”.
Utilizzando tubi e pezzi speciali per fognature in plastica
arancione ho sostituito le scaffalature con una foresta artificiale
di “alberi di plastica arancione” sui cui rami,
utilizzando portanidi per uccelli ho collocato le mie amate
orchidee tropicali, ottenendo così un risultato visivo
abbastanza soddisfacente per i miei gusti.
Per fertilizzarle nell’acqua di irrigazione metto un cucchiaino
da te di fruttosio e, una volta a settimana, due cucchiaini
da te (circa 5 gr) di una soluzione di cloruro di magnesio. (Nascondi)...
(continua)
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